Nella vendita di un bene ammortizzabile, qualora il corrispettivo conseguito al netto di oneri accessori di diretta imputazione sia superiore al costo non ammortizzato, si genera una plusvalenza. Vogliamo approfondirne gli aspetti contabili e fiscali.
Le plusvalenze possono essere realizzate per tre differenti motivi:
1) cessione di beni a titolo oneroso;
2) risarcimenti in seguito di perdita o danneggiamento di beni ammortizzabili;
3) assegnazione di beni ai soci ovvero consumo personale dell’imprenditore o di un suo familiare.
Le prime voci due concorrono a formare reddito tassabile per l’intero ammontare in cui sono realizzate o in quote costanti nell’esercizio stesso e in quelli successivi ma non oltre il quarto. Tale differimento è possibile se il bene che ha originato la plusvalenza era posseduto da più di tre anni. Per il conteggio del triennio occorre fare riferimento alla data di acquisto per le immobilizzazioni materiali e immateriali, alla data di acquisto del bene da parte della società di leasing o dell’iscrizione in bilancio per le immobilizzazioni finanziarie. Per i beni costruiti in economia il triennio decorre dalla data di utilizzo riscontrabile sul libro cespiti.
Sotto il profilo contabile le plusvalenze possono trovare una doppia collocazione. Nel caso di plusvalenze derivanti da cessioni ordinarie per l’impresa, saranno imputabili nella voce “A5 – Altri ricavi”. Se, invece, derivano da operazioni straordinarie vanno classificate nella voce “E20 – Proventi straordinari”.
Si immagini la ditta Alfa S.r.l. che vende alla ditta Beta S.a.s. un macchinario il cui costo storico rilevato nel libro cespiti è pari a euro 10.000. Il bene risulta ammortizzato al 70%. Il prezzo di vendita concordato è pari a euro 5.000. La ditta Alfa S.r.l., pertanto, dovrà rilevare la plusvalenza di euro 2.000 derivante dal seguente calcolo:
5.000 – [10.000 – (10.000 x 70%)] = 2.000
La rilevazione contabile della plusvalenza sarà la seguente:
Dare Avere
Macchinari 2.000,00
Plusvalenze 2.000,00