E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 42530 del 5 novembre scorso.
Il caso e la difesa dell’imprenditore
Il caso esposto in Cassazione è la conseguenza del fatto che il Tribunale di una provincia Toscana aveva rigettato l’istanza di riesame proposta da un imprenditore contro un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso dal GIP dello stesso Tribunale , nell’ambito di un procedimento che ha come oggetto episodi di corruzione, concussione e turbata libertà degli incanti, con riferimento agli appalti di aggiudicazione di gare indette da alcuni Comuni toscani e da un Consorzio di bonifica della zona.
La difesa dell’imprenditore aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza del Riesame, per violazione dell’art. 322 ter c.p., avendo il giudice di merito fornito una criticabile interpretazione della nozione di profitto rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di sequestro preventivo per equivalente. Infatti l’impugnato provvedimento aveva ritenuto congruo il valore delle somme sottoposte a vincolo (circa 62mila euro) sulla base di una valutazione “meramente apparente”, in quanto fondata non già sull’accertamento in concreto del profitto lucrato, ma su un profitto presunto in via implicita, mediante il generico richiamo alle gare vinte dalla società del ricorrente e alle somme relative agli importi di aggiudicazione ad esse corrispondenti.