Mentre si aspettano le prime lettere da parte del Fisco (al vaglio del Garante della Privacy) relative alla richiesta di chiarimenti sulle annualità dal 2009 in poi, oggetto del “nuovo” redditometro, un’interessante questione da approfondire (anche in relazione alle annualità fino al 2008 per le quali valgono le “vecchie” regole) è l’applicabilità del redditometro nei confronti dei soggetti fiscalmente non residenti in Italia.
Si tratta, in effetti, di una problematica molto dibattuta. L’Amministrazione Finanziaria segna un punto a proprio favore in forza di un precedente giurisprudenziale di rilievo, rappresentato dalla Sentenza della Corte di Cassazione 7.11.2005, n.21569, secondo cui la rettifica sintetica è eseguibile anche nei confronti di soggetti non residenti (nel caso di specie, il soggetto accertato risultava intestatario di quattro autovetture in Italia) posto che l’art. 38 del D.P.R. n. 600/73 “non contiene alcuna disposizione secondo cui l’accertamento di eventuali redditi prodotti in Italia da un soggetto pur residente all’estero deve avvenire soltanto in via analitica e non anche in via induttiva”.
Ora, se sotto il profilo normativo tale asserzione è senz’altro vera (sia nella previgente che nell’attuale versione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/73) ragioni di ordine pratico portano a concludere in senso contrario rispetto a quanto sancito dalla Suprema Corte.
Il redditometro che quantifica il reddito sintetico e lo confronta con quello dichiarato, risultando applicabile se risulta uno scostamento del quinto (o del quarto per due periodi di imposta nella previgente disciplina applicabile fino al 2008) appare di per sé inidoneo ad essere utilizzato nei confronti del soggetto non residente che, per definizione, in Italia è tenuto a dichiarare i soli redditi di fonte italiana (come per esempio quelli derivanti da immobili posseduti nel territorio dello Stato): il reddito sintetico dunque potrebbe essere ampiamente giustificato dal reddito e/o dal patrimonio di cui il soggetto non residente dispone nello Stato in cui risiede, peraltro di difficile comparazione considerando che, ovviamente, nel Paese estero sono in vigore modalità di determinazione e quantificazione del reddito differenti dalle nostre.
Tali perplessità in ordine all’applicabilità del redditometro ai non residenti sono condivise anche da parte della giurisprudenza di merito (C.T.P. Brindisi, Sentenza n. 289/02/12) secondo cui, fra l’altro, ai fini dell’applicabilità del redditometro ai soggetti non residenti, l’Amministrazione Finanziaria dovrebbe dimostrare che in Italia sono state sostenute spese per il mantenimento dei beni che costituiscono il “fatto indice”.
In realtà si ritiene che il redditometro, con riferimento ai soggetti non residenti, sia molto più insidioso quale elemento indiziario di una falsa residenza estera, nei confronti dei soggetti (in particolare, cittadini italiani che sostengono di essersi trasferiti all’estero) che non soddisfano le condizioni richieste dall’art. 2 del Tuir: detta disposizione qualifica come fiscalmente residente in Italia la persona fisica che, per la maggior parte del periodo di imposta, ha nel territorio dello Stato l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, il domicilio (inteso come il centro degli affari e degli interessi) o la residenza ex art. 43 del C.c.:
Si pensi, per esempio, al soggetto iscritto AIRE che effettua in Italia cospicui investimenti intercettati dal redditometro, a fronte di un reddito dichiarato in Italia pari a zero. In questi casi, l’attenzione dell’amministrazione finanziaria, si dovrebbe verosimilmente spostare:
sulla effettiva residenza estera del soggetto (verificando per esempio se la famiglia del soggetto accertato è rimasta o no in Italia o il Paese in cui risulta che lo stesso abbia il domicilio) piuttosto che