Concordato “con riserva”
In maniera particolarmente significativa il legislatore, ispirandosi al tanto declamato Chapter 11 dell’ordinamento statunitense, ha inserito nell’art. 161 l.f. il comma 6, che prevede la facoltà, riconosciuta al debitore, di presentare una domanda di concordato “con riserva”, vale a dire un ricorso privo della proposta, del piano e della documentazione, i quali dovranno essere presentati entro un termine fissato dal giudice, compreso tra sessanta e centoventi giorni, prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
Il legislatore della riforma ha così inteso agevolare il debitore, assicurandogli, con la semplice presentazione di una domanda di concordato “con riserva”, gli effetti protettivi sul proprio patrimonio, ai sensi dall’art. 168 l.f., a decorrere dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.
Il divieto di iniziare o coltivare le azioni esecutive è stato esteso alle azioni cautelari e – novità davvero significativa – è stata sancita la inefficacia, ai fini del concordato, delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni anteriori alla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, rispetto ai creditori anteriori al concordato.
Il legislatore della riforma ha, altresì, previsto, all’art. 161, comma 7, che, nell’arco temporale compreso tra la data di deposito della domanda di concordato e quella del decreto di ammissione alla procedura, il debitore possa compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, nonché atti di ordinaria amministrazione, con riconoscimento della prededuzione ai crediti sorti per effetto degli “atti legalmente compiuti dal debitore”.
Le citate modifiche sono state introdotte dal legislatore, come emerge dalla relazione illustrativa, “al fine di favorire il tempestivo accesso delle imprese in crisi alle procedure concorsuali” e di “impedire l’eventualità che i tempi di preparazione del piano e della proposta aggravino la già presente situazione di crisi, generando un vero e proprio stato di insolvenza”.
All’indomani della entrata in vigore della legge n. 134/2012 la dottrina ha espresso critiche, evidenziando che il legislatore, con le citate norme, da un lato ha voluto favorire il debitore anticipando l’effetto protettivo sul patrimonio a un momento in cui il piano e la proposta potrebbero non essere stati depositati unitamente al ricorso, dall’altro lato, però, stabilendo che il debitore, nel periodo compreso tra il deposito del ricorso e il decreto di cui all’art. 163, può compiere atti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, attribuisce al Tribunale il compito di autorizzare atti nella totale ignoranza di ciò che accadrà, atteso che la domanda “è, appunto, con riserva”.
In chiave critica la dottrina ha, altresì, rilevato che la previsione del “concordato con riserva” potrà, in concreto, dare adito a comportamenti opportunistici e strumentali da parte dell’imprenditore, il quale, potrebbe avvalersi della facoltà di depositare una domanda di ammissione al concordato “spoglia”, vale a dire priva del piano, della proposta e della documentazione ex art. 161, commi 2 e 3, l.f., al solo fine di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio ex art. 168 l.f.
Sempre al fine di incentivare il ricorso ai procedimenti di composizione della crisi d’impresa, il D.L. sviluppo, convertito in l. n. 134/2012, ha inserito nel corpo della legge fallimentare l’art. 169-bis l.f., il quale consente al debitore di liberarsi dei contratti gravosi, ai quali, a volte, è addebitabile la crisi.
Secondo la nuova previsione normativa, il debitore, previa autorizzazione del Tribunale, o, dopo il decreto di ammissione, del Giudice Delegato, può infatti sciogliersi dai contratti in corso alla data di presentazione del ricorso, esclusi i rapporti di lavoro subordinato, i preliminari di vendita trascritti aventi a oggetto immobili a uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti e affini entro il terzo grado, i contratti di finanziamento ex art. 2447-bis, comma 1, lettera b) c.c., i contratti di locazione di immobili.
Inoltre, su richiesta del debitore, può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabile una sola volta.
In tali casi, il contraente ha diritto a un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento, e tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato.
Concordato con continuità aziendale
Una delle novità più rilevanti introdotte dalla legge n. 134/2012 è rappresentata dalla previsione di una specifica disciplina del concordato con continuità aziendale. Invero, il concordato con continuità aziendale era già ammesso nella prassi, ma mancava una regolamentazione della fattispecie.
Il legislatore ha, quindi, istituzionalizzato il concordato con continuità aziendale, dedicandogli una norma ad hoc, l’art. 186-bis l.f., le cui prescrizioni troveranno applicazione tutte le volte in cui il piano di concordato preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, o la cessione dell’azienda in esercizio, o il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione.
Il legislatore, come espressamente enunciato nella relazione illustrativa, al fine di favorire il ricorso al concordato con continuità aziendale, ha previsto, al comma 2 dell’art. 186-bis l.f., la possibilità di una moratoria fino a un anno per il pagamento dei creditori muniti di cause legittime di prelazione. Ha, altresì, previsto, al comma 3 dell’art. 186-bis la possibilità di prosecuzione dei contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con la P.A., fermo restando in quest’ultimo caso che il professionista designato dal debitore ex art. 67 l.f. abbia attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. Inoltre, ha previsto che, in presenza dei requisiti specificamente indicati all’art. 186-bis, comma 4, l.f., l’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale non impedisce la partecipazione della impresa, anche riunita in ATI, purchè non rivesta la qualità di mandataria, alle procedure di assegnazione di contratti pubblici.
Sempre al fine di agevolare le imprese in crisi che intendano proseguire l’attività aziendale, il legislatore ha introdotto una nuova disposizione, l’art. 182-quinquies l.f., che consente al debitore, previa autorizzazione del tribunale, di contrarre finanziamenti, con riconoscimento della prededucibilità ex art.111 l.f., purchè un professionista designato dal debitore e in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), l.f., verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino alla omologazione, attesti che tali finanziamenti siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
I finanziamenti a cui fa riferimento l’art. 182-quinquies l.f. possono anche essere individuati solo per tipologia ed entità, e non essere ancora oggetto di trattative.
Il tribunale può, altresì, autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei suddetti finanziamenti.
Nell’ottica di favorire la pronta soluzione della crisi d’impresa, il legislatore ha previsto, al comma 4, che il debitore che presenti domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale possa chiedere al tribunale di essere autorizzato a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, purchè un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), l.f. attesti che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali a una migliore soddisfazione dei creditori concorsuali.
Fase di approvazione del concordato ex art. 178 l.f.
L’intervento di riforma attuato con la legge n. 134/2012 ha, altresì, investito la fase di approvazione del concordato ex art. 178 l.f.
Con alcune modifiche di rilevante impatto il legislatore ha, innanzitutto, valorizzato l’adunanza dei creditori, prevedendo che l’eventuale rinvio debba essere comunicato a tutti i creditori e che nel processo verbale dell’adunanza debbano essere inseriti oltre ai voti, favorevoli o contrari, dei creditori, anche l’elenco nominativo dei creditori che non hanno esercitato il voto e l’ammontare del loro credito.
Ai sensi del novellato comma 4 dell’art. 178 l.f., i creditori non votanti possono esprimere il proprio dissenso nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza dei creditori; in mancanza saranno ritenuti consenzienti e come tali saranno considerati ai fini del calcolo delle maggioranze.
Con una ulteriore non trascurabile innovazione, il legislatore ha, poi, previsto al novellato art. 179, comma 2, l.f. che qualora dopo l’approvazione del concordato, il commissario giudiziale rilevi che siano mutate le condizioni di fattibilità del piano, deve darne avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione e, in questa sede, modificare il proprio voto, rendendo così necessario, da parte del tribunale, un nuovo controllo sulla formazione delle maggioranze.
In sostanza, i creditori, attraverso la modifica del voto, possono incidere sull’esito del giudizio di omologazione.
Professionista attestatore
L’intervento attuato con il D.L. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, ha, altresì, interessato la figura del professionista attestatore ex articoli 67, comma 3, lettera d), 161, comma 3, e 182-bis, 182-quinquies e 186-bis l.f., sul piano sia della nomina, sia dei requisiti soggettivi, sia della responsabilità penale per falso in attestazioni e relazioni.
In particolare, è stato definitivamente chiarito, all’art. 67, comma 3, lettera d) l.f., che la nomina dell’attestatore compete, in via esclusiva, al debitore. Tale scelta, come evidenziato dalla dottrina all’indomani della entrata in vigore della legge n. 134/2012, appare in sintonia con le dinamiche di autonomia privilegiate dal legislatore, ma non risolve la questione della difficile collocazione sistematica dell’attestatore, il quale, benché non sia nominato dal giudice, svolge un compito istruttorio decisivo soprattutto nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione.
È stata, altresì, rafforzata la garanzia di indipendenza rispetto al debitore, attraverso la fissazione di una serie di limiti indicati nell’art. 67, comma 3, lettera d), l.f. Tale disposizione, però, non risolve il dubbio che la indipendenza sostanziale, in concreto, sia difficilmente realizzabile, considerato che l’incarico dell’attestatore deriva dal debitore.
La ulteriore modifica, come accennato, riguarda la previsione, ex art. 236-bis l.f., della responsabilità penale dell’attestatore che, nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, comma 3, lettera d), 161, comma 3, e 182-bis, 182-quinquies e 186-bis l.f., espone informazioni false, ovvero omette di riferire informazioni rilevanti. Tali violazioni sono sanzionate con una pena severa consistente nella reclusione da 2 a 5 anni e della multa da 50.000 a 100.000 euro.
La fattispecie di reato introdotta dalla legge n. 134/2012, ha da subito suscitato critiche da parte della dottrina, la quale ha evidenziato che la norma presta il fianco a dubbi di legittimità costituzionale per indeterminatezza della fattispecie, tenuto altresì conto che “la rilevanza delle informazioni” è concetto eccessivamente soggettivo.
La disciplina del concordato preventivo è stata, recentemente, ritoccata, seppure marginalmente, dal decreto Sviluppo-bis (D.L. n. 179/2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 245 del 19 ottobre 2012), il quale ha sostanzialmente previsto che le comunicazioni ai creditori, da parte del commissario giudiziale e del liquidatore, vanno effettuate, in via principale, con posta elettronica certificata.
Esdebitazione
Il legislatore della riforma delle procedure concorsuali, come emerge dalla prima parte della Relazione Ministeriale, al fine di “allinearsi alla legislazione degli altri Paesi europei”, ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della esdebitazione del fallito onde consentire il “recupero”, ovvero la “conservazione delle capacità produttive dell’impresa”, e la “semplificazione delle procedure concorsuali” considerate “non più in termini meramente liquidatori-sanzionatori, ma piuttosto come destinate ad un risultato di conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa”, senza, però, trascurare la esigenza di “tutela dei creditori” e del mercato.
In altri termini, le finalità dell’istituto della esdebitazione si identificano, congiuntamente e sullo stesso piano, nella esigenza di “recupero dell’attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio” (c.d. fresh start di ispirazione americana), “una volta azzerate tutte le posizioni debitorie” (c.d. discharge di ispirazione anglosassone), e nella esigenza di “tutela dei creditori”.
Il legislatore ha quindi introdotto, nel sistema delle procedure concorsuali di cui al R.D. n. 267/1942, il capo IX rubricato “Della esdebitazione”, disciplinando, agli articoli 142, 143 e 144 l.f., gli aspetti sostanziali e procedurali dell’istituto.
L’art. 142 l.f. si compone di quattro commi: il 1° comma delimita l’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto al “fallito persona fisica”, definisce espressamente la esdebitazione come “beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti” e stabilisce le condizioni c.d. “di meritevolezza” affinché il fallito persona fisica possa essere ammesso al beneficio in questione; il 2° comma disciplina la condizione oggettiva, stabilendo che “la esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”; il 3° comma indica i rapporti esclusi dalla esdebitazione; il 4° comma prevede la salvezza dei diritti vantati dai creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.
Il successivo art. 143 l.f. disciplina, al 1° comma, il procedimento e gli effetti del decreto con cui il Tribunale accoglie la domanda di esdebitazione, e, al 2° comma, il reclamo avverso il provvedimento del Tribunale.
L’art. 144 l.f., infine, disciplina gli effetti del decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione nei confronti dei creditori concorsuali non concorrenti.
La natura di beneficio della esdebitazione, espressamente prevista dall’art. 142 l.f., non è stata intaccata dal D.Lgs. correttivo n. 169/2007, atteso che tale provvedimento ha modificato parzialmente il comma 3, lettera a), della citata disposizione, prevedendo che sono esclusi dalla esdebitazione “i rapporti estranei all’esercizio della impresa”, in luogo dei “rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’art. 46 l.f.” di cui alla precedente formulazione; ha riformulato l’ultimo periodo dell’art. 144 l.f., stabilendo che per i creditori concorsuali non concorrenti la esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado; ha introdotto la disciplina di diritto transitorio, prescrivendo, agli articoli 19 e 22, che il “beneficio dell’esdebitazione” si “estende retroattivamente anche alle procedure fallimentari pendenti al 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/2006”, nonché alle procedure pendenti alla data del 16 luglio 2006 e chiuse alla data di entrata in vigore del decreto correttivo, vale a dire alla data del 1° agosto 2008.
Dal punto di vista sostanziale, la esdebitazione del fallito rappresenta, sul piano dell’ordinamento giuridico, una eccezione ai principi di responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e di sopravvivenza delle obbligazioni rimaste insoddisfatte nella procedura di fallimento ex art. 120, comma 3, l.f., atteso che consente al fallito persona fisica di ottenere il beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali, in mancanza di qualsiasi meccanismo di tipo negoziale, ovvero di accordo, sia pure a maggioranza, con i creditori stessi, a differenza del concordato, in cui la liberazione del fallito dai debiti residui avviene solo a seguito del voto espresso dai creditori.
Invero, nel sistema previgente, il creditore non soddisfatto integralmente nella procedura concorsuale “riacquistava”, con la chiusura del fallimento, il diritto a esercitare le azioni verso il debitore fallito tornato in bonis per la parte non soddisfatta del proprio credito per capitale e interessi, ai sensi e per gli effetti degli articoli 2740 c.c. e 120 l.f.
Nell’attuale sistema, invece, per effetto della esdebitazione ex articoli 142 e ss. l.f. e della modifica apportata al citato art. 120, comma 3, l.f., il creditore non può più esercitare le azioni di recupero del credito verso il debitore fallito che abbia ottenuto il beneficio in questione.
Una parte della dottrina ha subito criticato la scelta del legislatore della riforma delle procedure concorsuali, evidenziando che quest’ultimo ha introdotto, nel sistema giuridico italiano, un istituto di origine anglo-americana, ovvero la esdebitazione, sic et simpliciter, traducendone le norme e facendole proprie, senza tenere conto della diversità dei sistemi giuridici, tanto da determinare una situazione di incompatibilità con i principi costituzionali del nostro ordinamento.
Ulteriori critiche espresse dalla dottrina all’indomani della introduzione dell’istituto della esdebitazione riguardano la scelta del legislatore di escludere le società di capitali dal beneficio della esdebitazione.
Tale esclusione, infatti, “rappresenta una distonia non di poco conto” rispetto alla riforma societaria e potrebbe determinare effetti pratici sfavorevoli.
Infatti, il legislatore, da un lato, con la riforma societaria, come è noto, ha inteso incentivare le imprese di maggiori dimensioni a costituirsi in forma di società di capitali, dall’altro lato, con la riforma delle procedure concorsuali, non ha previsto l’accesso delle società di capitali al beneficio della esdebitazione.
Ne consegue, in concreto, che la esdebitazione, rappresentando una eccezione al principio generale di responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e, quindi, una sostanziale limitazione della responsabilità del debitore fallito persona fisica, potrebbe disincentivare la costituzione di società di capitali, contrariamente a quanto auspicato dal legislatore della riforma societaria; oppure, le imprese potrebbero tendere, comunque, a costituirsi in forma di società di capitali, ma, in tale caso, l’istituto in questione sarebbe destinato a trovare scarsa o limitata applicazione.
Da questo punto di vista, quindi, appare configurabile un difetto di coordinamento tra la riforma delle procedure concorsuali e la riforma societaria.
Ulteriore questione pratica in materia di esdebitazione, sulla quale si è espressa, recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 24215 del 18.11.2011, riguarda la vexata quaestio relativa alla interpretazione dell’art. 142, comma 2, l.f.: se, ai fini del riconoscimento del beneficio della esdebitazione, il soddisfacimento, almeno parziale, debba riguardare tutti i creditori concorsuali, oppure una parte soltanto di essi.
Le Sezioni Unite, con le motivazioni della sentenza n. 24215/2011, dopo aver dato atto della esistenza, sia in dottrina, sia in giurisprudenza di merito, del contrasto interpretativo in ordine alla norma ex art. 142, comma 2, l.f, hanno affermato che, in assenza di dati letterali sufficientemente chiari e univoci nella disciplina legislativa di cui agli articoli 142, comma 2, 143 e 144 l.f., va “considerata preferibile”, alla stregua della ratio legis e del dato normativo di cui all’art 1, comma 6, lettera a), n. 13, legge delega n. 80/2005, “la interpretazione estensiva” dell’art. 142, comma 2, l.f., e che “sarà compito del giudice, con il suo prudente apprezzamento, accertare quando la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che la entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesti per il riconoscimento del beneficio in esame”.
È chiaro il favor del legislatore volto, con l’introduzione della nuova normativa, ad incentivare, attraverso il ricorso delle “nuove” soluzioni concordate, la soluzione della crisi d’impresa.
Bisognerà, tuttavia nella pratica, verificare se dette soluzioni saranno effettivamente utilizzate per far emergere in via preventiva la tempestività della crisi d’impresa o, se viceversa, prevarranno usi distorti e meramente dilatori dei nuovi strumenti legislativi che, invece di aiutare i debitori in crisi a non chiudere le proprie imprese si tradurrebbe in un ulteriore aggravio della grave crisi che attanaglia il nostro sistema economico.
Per valutare e considerare sia le criticità emerse dalle significative modifiche apportate dal c.d. “Decreto Sviluppo” convertito nella legge n. 134/2012 sia il loro impatto sulla “tenuta” nel sistema giudiziario in termini di efficienza delle relazioni conflittuali d’impresa, saranno oggetto di dibattito nell’ambito del Convegno nazionale organizzato dall’Osservatorio sulle Crisi d’Impresa (O.C.I) che si svolgerà a Benevento il 9 e il 10 novembre p.v.
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L’ULTIMA FRONTIERA DELLA PREVENZIONE DELLA CRISI DI IMPRESA: CONVEGNO OCI, BENEVENTO 9 -10 NOVEMBRE 2012
Il 9 e il 10 novembre 2012 si svolgerà presso l’Auditorium Ex Convento S. Agostino il Convegno organizzato dall’Osservatorio sulle crisi di impresa (OCI) per valutare e considerare sia le criticità emerse dalle significative modifiche apportate dal cd. Decreto Sviluppo 2012 alla Legge Fallimentare sia il loro impatto sulla tenuta nel sistema giudiziario in termini di efficienza delle relazioni conflittuali d’impresa. Le novità in tema di concordato preventivo, la sorte giuridica degli atti compiuti nella fase di interregno, la disciplina della “finanza ponte” e il concordato con continuità aziendale saranno dibattuti durante la prima giornata; le tematiche dei fallimenti delle società e dei soci illimitatamente responsabili saranno oggetto della seconda giornata. Il dibattito si propone di dare una risposta a tutta una serie di aspetti sia normativi sia operativi, non espressamente regolati dalle nuove norme.