Alcuni anni or sono, quando i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter del c.c. hanno fatto capolino nel nostro ordinamento ci si è chiesti se questi fossero il c.d. trust italiano.
In realtà gli istituti pur presentano evidenti similitudini, quanto meno in relazione all’effetto segregativo che producono, sono profondamente differenti. L’art. 2645-ter c.c. prevede, infatti, che i beni segregati possano essere oggetto di esecuzione solamente per i debiti contratti per tale scopo. Non vi è una impignorabilità assoluta ma un limite all’azione esecutiva che deve risultare connessa al perseguimento dello scopo.
In merito alle differenze tra gli istituti si evidenzia come la normativa in tema di vincoli di destinazione non preveda la partecipazione all’atto istitutivo di soggetti distinti, ben potendo il vincolo essere istituito dal solo conferente. Diversamente, il trust contempla la partecipazione quanto meno di due soggetti: il disponente ed il trustee (fatto salvo il caso del trust auto dichiarato).
D’altro canto lo studio del Notariato 357-2012/C ha evidenziato come lo stesso vincolo possa contemplare figure del gestore e del garante. E’ un evidente “scopiazzamento” dell’istituto del trust.
Peraltro si ricorda come, ormai oltre due anni or sono, una bozza di modifica della disciplina degli stessi patti di famiglia avesse previsto uno “scimmiottamento” della disciplina del trust; in particolare, nella versione originaria del “decreto sviluppo” (decreto-legge n. 70 del 2011) veniva modificato l’art. 768-bis del c.c. prevedendo che “In tal caso, fino all’accettazione da parte dell’assegnatario, il soggetto nominato dall’imprenditore o dal titolare di partecipazioni societarie ai sensi del primo periodo esercita altresì il compito di gestore dei beni. [….] Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori del medesimo gestore o nell’interesse degli stessi. Il gestore amministra l’azienda o le partecipazioni societarie e i relativi frutti secondo le indicazioni contenute nel contratto, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico ed evitando situazioni di conflitto di interessi. Il gestore rende conto del suo operato ai soggetti indicati al terzo comma.”
Con l’occasione si segnala che il patto di famiglia è uno strumento di gestione ma non di protezione del patrimonio.
Passiamo ad altri aspetti. Il vincolo di destinazione ha una durata massima di 90 anni o la vita del beneficiario se persona fisica, mentre per il trust la durata dipende dalla legge regolatrice. Il trust potrebbe essere al limite eterno ma bisogna prestare la massima attenzione a non ledere i diritti dei legittimari.
Un’ulteriore differenza tra i due istituti riguarda i beni che possono essere formare oggetto del negozio. Solo beni immobili o mobili registrati possono essere legati al vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile, mentre generalmente qualsiasi bene nel caso del trust; possono quindi essere disposti in Trust beni immobili, ma anche mobili non registrati, partecipazioni societarie, titoli di credito, autovetture, eccetera.
Il vincolo nasce in un atto in forma pubblica mentre, secondo la convenzione de l’Aja, per il trust è sufficiente la forma scritta, a meno che altra forma non dipenda dalla natura dei beni che formino oggetto dell’atto istitutivo del trust.
Gli interessi perseguiti con il vincolo devono essere meritevoli di tutela. Sul tema, la posizione dottrinale prevalente ritiene la meritevolezza elemento ulteriore rispetto alla liceità; sono due valutazioni quindi che si pongono su distinti piani il primo dei quali, avente ad oggetto la liceità, è prioritario e presupposto rispetto al secondo.
Il Consiglio Nazionale del Notariato afferma inoltre che i principi dell’art. 2645-ter dovrebbero essere considerati quale limite di applicazione anche dell’istituto del trust che non dovrebbe quindi eccedere i confini per la legittimità e l’efficacia degli atti di destinazione.
Alla luce delle breve considerazioni proposte è chiaro come i due istituti siano profondamente differenti. E’ quindi errato ritenere che il trust istituito in Italia debba avere una durata di 90 anni in quanto tale limite è imposto dall’art. 2645-ter.
D’altro canto il vincolo di destinazione ha finalmente sdoganato la trascrivibilità dei vincoli di trust dissipando definitivamente le ritrosie delle conservatorie dei registri immobiliari e dei registri delle imprese. L’art. 2645 ter, pertanto, non rappresenta la legge italiana sui trust ma configura un nuovo istituto che consente una segregazione patrimoniale.