La legge di conversione del D.L. n. 83/2012 (decreto crescita) ha confermato, con alcune modifiche invero marginali, le nuove disposizioni fiscali dedicate ai componenti reddituali emergenti dalla conclusione degli accordi di ristrutturazione del debito, e segnatamente, per un verso, la detassazione parziale del bonus concordatario e, per l’altro, l’automatica deducibilità della correlata perdita che i creditori subiscono con il perfezionamento dell’accordo, lasciando tuttavia aperte alcune questioni, e irrisolte altre, come, ad esempio, il problema del recupero dell’IVA relativa ai crediti rimessi e la decorrenza delle suddette novità fiscali.
Con la conversione in legge (legge 7 agosto 2012, n. 134), con modificazioni, del «decreto crescita» hanno trovato definitivo ingresso, nella disciplina del reddito d’impresa, le novità in materia di accordi di ristrutturazione del debito recate dall’art. 33, commi 4 e 5, di tale decreto, e concernenti, rispettivamente, la detassazione per l’imprenditore, pur se limitata, della sopravvenienza pari alla porzione di debiti da cui è liberato col perfezionamento della procedura e l’automatica deducibilità per i creditori aderenti della perdita che essi corrispondentemente subiscono.
Dall’originaria alla nuova, e definitiva, formulazione degli artt. 88, comma 4, e 101, comma 5, del T.U.I.R.
Si tratta di due interventi normativi che recepiscono, in sostanza, soluzioni già ricavabili per via interpretativa dagli artt. 88, comma 4, e 101, comma 5, del T.U.I.R., su cui vanno a incidere modificandone la formulazione, ancorché nel primo caso la soluzione legislativa sia restrittiva. Ed infatti, per un verso, il significato del termine «concordato», utilizzato nella prima disposizione, è più ampio di quello risultante prima facie e tale da consentire, con un’interpretazione estensiva giustificabile anche sul duplice piano della ragionevolezza e della ratio legis, la sussunzione degli accordi di ristrutturazione nell’art. 88, comma 4, vecchia formulazione; per altro verso, la procedura in esame comporta una «rinuncia», da parte dei creditori aderenti all’accordo, per la quale non possono che valere i criteri di deducibilità della perdita propri degli atti di disposizione dei crediti o, comunque, è latrice della prova dell’inevitabilità della perdita del credito con l’omologazione dell’accordo.