I compensi agli sportivi dilettanti ed i contributi previdenziali

Il Tribunale di Roma (Sez. Lavoro), con sentenza n.9284 dell’11/07/2013, ha rigettato un opposizione proposta da un’associazione sportiva dilettantistica (ASD) avverso un avviso di addebito emesso dall’INPS – Gestione ex ENPALS, confermando così la debenza dei contributi previdenziali.

Tale filone di contenzioso tra le ASD e gli Istituti previdenziali ed assistenziali (oltrechè le Direzioni Territoriali del Lavoro) ha avuto origine a seguito dell’emanazione del D.M. 15/03/2005 (punti 20 e 22) e delle circolari ENPALS n. 7 e 13 del 2006. Non si tratta del primo precedente sul punto favorevole all’Amministrazione ma si tratta probabilmente della sentenza meglio argomentata e che potrebbe costituire un precedente di un certo rilievo.

La questione specifica trae origine da un accertamento ENPALS a seguito del quale l’Ente aveva contestato la natura professionale dell’attività di tre istruttori dell’ASD sul presupposto che non fosse prestata in funzione di manifestazioni sportive o connessa alla realizzazione di gare (risoluzione n.34/E 2001 Agenzia delle Entrate). Nonostante, l’art. 35, comma 5 D.L. 207/2008 (conv. in L. 14/2009) abbia fornito una diversa interpretazione della definizione di “esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” contenuta all’art. 67, comma 1, lett. m) Tuir, il Giudice ha ritenuto di dover comunque procedere all’accertamento della natura dei rapporti.

Ha ritenuto di doverlo fare sul condivisibile presupposto che la norma di interpretazione autentica non abbia inciso sull’incipit dell’art. 67 cit. ovvero sulla circostanza che, per poter essere annoverati tra i redditi diversi (e nella fattispecie godere anche dell’esonero contributivo), è necessario che le prestazioni non siano svolte nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato o comunque nell’ambito di un’attività di natura professionale. Oltre a valutare che le prestazioni siano rientranti nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche, occorre dunque individuare un “requisito negativo” (la non professionalità).

Ad avviso del Giudicante, la professionalità della collaborazione resa dai tre istruttori sarebbe stata dimostrata da plurimi e convergenti elementi in quanto gli stessi:

tenevano dei corsi stabili (almeno tre volte alla settimana di tre o quattro ore a giornata);
gestivano tali corsi in piena autonomia, sia sotto il profilo organizzativo che nella scelta delle giornate in cui effettuare le proprie prestazioni;
il compenso loro erogato “non era occasionale ma fisso” e di entità tale da poter costituire una fonte autonoma di sostentamento o comunque un contributo significativo se proporzionato all’impegno richiesto.
Pur non conoscendo gli atti del procedimento, si ritiene che l’excursus logico-argomentativo effettuato dal Giudice sia stato corretto: ricercare e valutare la stabilità della prestazione, l’adeguata competenza tecnica e la corresponsione di un compenso non marginale avuto riguardo anche al tempo impiegato è senz’altro la strada corretta per individuare la genuinità (o meno) dei rapporti di cui all’art. 67, comma 1, lett. m) Tuir.

Si evidenzia, a margine, che per supportare la propria tesi, il Tribunale ha ritenuto di poter trasporre l’indirizzo giurisprudenziale formatosi nell’ambito del settore dello spettacolo al mondo dello sport dilettantistico. Tale orientamento, secondo cui pure in presenza di saltuarietà, discontinuità e non esclusività della prestazione (elementi tipici e non infrequenti in ambito spettacolistico) si potrebbero ravvisare i presupposti per lo svolgimento di un’attività professionale non è però, a nostro avviso, applicabile sic et simpliciter al mondo dello sport dilettantistico che ha dei risvolti sociali estranei al mondo dello spettacolo e di cui anche lo stesso Legislatore ha tenuto conto (v. lo stesso art. 67 cit.). Né può essere condivisibile l’affermazione del Giudicante secondo cui avvalorerebbe il carattere professionale dell’attività degli istruttori la circostanza che gli stessi preparassero degli atleti per delle gare, denotando ciò il possesso di elevate competenze tecniche. In ambito sportivo, infatti, anche gli allenatori della squadra di più basso livello sono in possesso di una specifica abilitazione che – di per sé – non può connotare una prestazione come professionale.

Tali errate considerazioni non pare, però, abbiano avuto rilievo decisivo per il rigetto dell’opposizione (con conseguente condanna al pagamento delle spese legali in favore dell’INPS) e, pertanto, non hanno inficiato il condivisibile impianto della sentenza.