Amministratore evasore fiscale. Sequestro per la società

Della frode fiscale posta in essere dall’amministratore risponde anche la società che ha tratto beneficio della commissione dell’illecito. È quanto emerge dalla sentenza 2 maggio 2013, n. 19035, della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale. 



Il caso. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame annullava parzialmente il provvedimento di sequestro preventivo adottato dal GIP nei confronti di un uomo titolare di numerose società ed esercente anche l’attività di consulente fiscale, indagato per i reati di cui agli articolo 2 e 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000. 


La tesi difensiva. Nell’impugnare l’ordinanza del riesame, il difensore dell’indagato ha lamentato, tra l’altro, che le somme sottoposte a vincolo non avevano alcun riferimento con il soggetto che si era giovato del “profitto” del reato ipotizzato. In ogni caso, tale profitto, individuabile in un risparmio fiscale, non poteva comunque portare all’applicazione della misura, mancando la dimostrazione che le somme rinvenute nell’abitazione dell’indagato provenissero da disponibilità delle società. 



Misura legittima. Ebbene, gli Ermellini hanno ritenuto infondata la tesi della difesa, avendo il giudice del merito dato adeguata risposta, affermando, sulla base delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, ma anche sulla base delle indagini bancarie e delle intercettazioni effettuate, che in realtà si trattava di somme custodite dal ricorrente per conto delle varie società da lui amministrate, non presenti nelle casse sociali. Sicché il Tribunale (e prima ancora il GIP) ha giustamente ritenuto sequestrabile il patrimonio “profitto” del reato tributario anche in capo a ditte e società riconducibili all’indagato, ribadendosi il concetto, del tutto conforme alla giurisprudenza di legittimità, “della sequestrabilità di beni di cui il reo abbia la disponibilità quale titolare o amministratore di società che hanno beneficiato di tali profitti, ex artt. 1, lett. c) ed e) del D.L.vo. 74/2000”. 


Responsabilità degli enti. Infine, in un passaggio delle interessanti motivazioni, la Terza Sezione Penale ha avuto occasione di ricordare che le disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 231 del 2001 hanno introdotto un nuovo genere di autonoma responsabilità amministrativa dell’ente in caso di commissione, nel suo interesse o vantaggio, di un reato da parte di soggetto che in quell’ente ricopre una posizione di vertice. Si tratta di una nuova forma di responsabilità che, lontano dal costituire un’atipica ipotesi di responsabilità oggettiva, integra invece una responsabilità collegata alla mancanza di organizzazione da parte del soggetto di vertice che non ha evitato la perpetrazione dell’illecito penale.